sabato 5 dicembre 2009

DAVE ANTHONY'S MOODS

DAVE ANTHONY'S MOODS

Ormai penso lo si sappia, i Dave Anthony's Moods sono una mia "fissa" e il fatto di possedere tutti e tre i loro unici 45 incisi tra il 1966 ed il 1967, oltre all'aver conosciuto di persona Tim Large (ex-chitarrista) e Bob Michaels (ex- organista) e averne curato una specie di intervista, mi fa sentire come uno dei pochi depositari della loro storia; purtroppo presto dimenticata e sconosciuta ai più. Ma i Dave Anthony's Moods non solo furono un ottimo gruppo che mescolava rhythm'n'bues, pop e certe raffinate atmosfere jazz; ma fecero anche (almeno nel nostro paese, dove vissero tra il 1967 ed il 1969) da "apripista" per un certo tipo di suoni caratterizzato dall'uso dei fiati, all'epoca da noi ancora piuttosto marginale, se non addirittura sconosciuto.
Per chi non conoscesse la loro storia posso rimandare alla pagina su Facebook dedicata a: DAVE ANTHONY'S MOODS, dove oltre alle interviste a Tim e a Bob, potrete trovare il bellissimo articolo di Aldo Pedron pubblicato sul numero di ottobre-dicembre 2009 della rivista Jamboree; e in più un ricordo dello scomparso cantante Roger Peacock; foto e discografia.

Formazione:

Tony Head (alias Dave Anthony) - voce, sostituito nel 1966 da Roger Peacock
Tim Large - chitarra
Bob Michaels - organo Hammond, sostituito nel 1968 da Chris Dennis, poi con i Nomadi
Andy Kirk - tromba
Graham Livermore - trombone
Pete Sweet - sassofono, sostituito nel 1966 da Bob Downes che poi lascia dopo poco senza essere rimpiazzato
Bill Jacobs - basso
John Devekey - batteria , sostituito nel 1969 da un musicista italiano di cui nessuno ricorda il nome.

Discografia:
New Direction / Give It A Chance -
Parlophone R 5438 (aprile 1966)
My Babe / Fading Away - Joker M 7000 (primavera 1967)
A Whiter Shade Of Pale / Talking To The Rain - Joker M 7001 (estate 1967)





mercoledì 2 dicembre 2009

MARK FRECHETTE


MARK FRECHETTE (Boston, 4 dic. 1947 - Norfolk, 27 set. 1975)

Attore americano la cui carriera cinematografica si è sviluppata solo in tre film:
"Zabriskie Point" di Michelangelo Antonioni, uscito nel 1970 e considerato un culto del cinema d'avanguardia; "Uomini Contro" (1971) di Francesco Rosi, grande film antimilitarista ispirato al libro di Lussu "Un anno sull'altopiano"; e il poco noto "La grande Scrofa Nera" del 1972, del regista Filippo Ottoni.
In tutti e tre i film Frechette, col suo modo di recitare quasi sfuggente, interpreta l'anti-eroe, il ribelle che si scontra con le istituzioni e col mondo, sia esso l'apparato militare che la società capitalistica. Personaggio schivo e introverso, Mark Frechette venne notato quasi per caso da Sally Dennison, direttrice del casting di Zabriskie Point e scelto per la parte del protagonista. Dotato di indubbio fascino, dopo l'uscita del film divenne un'icona ed ebbe una travagliata storia con Daria Halprin, sua partner nel film del regista ferrarese. Irrequieto e insofferente alle regole della società, si rifiutò di entrare a far parte dello star system e andò a vivere in una comune, dopo aver devoluto i 60.000 dollari guadagnati.
Il 29 agosto del 1973 venne arrestato assieme a due complici della stessa comune hippie mentre tentava di mettere in atto una rapina in una banca di Boston, uno dei due fu ucciso dalla polizia, mentre Frechette venne successivamente condannato a sei anni di carcere.
Morì in circostanze mai del tutto chiarite nella palestra della prigione, mentre stava allenandosi con una sbarra di pesi. Ultimamente qualcuno ha avanzato l'ipotesi che possa essersi suicidato, dal momento che soffriva di depressione.
Nel 2008 il regista indipendente Michael Yaroshevsky ha presentato a vari festival del cinema, un documentario di 27 minuti sulla sua vita intitolato
"Death Valley Superstar".

venerdì 23 ottobre 2009

CURIOSITA' DELL'EQUIPE 84


Forse non sono molti a sapere che nel dicembre del 1967 l'Equipe 84 era in procinto di registrare una loro versione di "Heroin" dei Velvet Underground...la cosa può sembrare strana ma in effetti una lettera scritta di pugno da Lou Reed il 23 dicembre di quell'anno e indirizzata a Gerard Malanga (ballerino e attore dell'entourage di Andy Warhol), in quel periodo in Italia per presentare all'International Film Festival di Bergamo una sua pellicola, confermerebbe la cosa. Malanga si era fatto un sacco di amici nel nostro paese ed era stato in visita alla villa che il gruppo modenese aveva a Milano, dove probabilmente aveva fatto ascoltare una copia del disco dei Velvet. non è dato di sapere se in seguito l'Equipe 84 registrò o meno il pezzo e se per caso esista sepolto da qualche parte un nastro; e in ogni caso non v'è traccia di questa versione..... ve lo immaginate se il gruppo avesse pubblicato Heroin con un testo riadattato in italiano?

giovedì 30 luglio 2009


i Trip

Quando nell’estate del 1966 Riki Maiocchi decise di lasciare i Camaleonti, si recò a Londra per cercare nuovi musicisti per accompagnarlo in un suo progetto; qui incontrò Ian Broad, un batterista che aveva conosciuto a Milano precedentemente, quando suonava con una formazione chiamata The Bigs, che aveva inciso un EP in Spagna e un singolo qui da noi; Broad veniva da Liverpool e aveva sostituito dietro ai tamburi Keef Hartley nei celeberrimi Rory Storm & The Hurricanes; poi aveva fatto parte dei Seniors con Johhny Gustavson, e da maggio a dicembre del 1964 si era piazzato con Heinz & The Wild Boys assieme ad un chitarrista leggendario di nome Ritchie Blackmore. Quest’ultimo, aveva un background impressionante come session-man e titolare di numerose incisioni e aveva collaborato o fatto parte di gruppi come gli Outlaws, Screaming Lord Sutch & The Savages, Ronnie Jones, The Three Muskeeters e altro ancora; e al momento suonava con Neil Christian & The Crusaders. Blackmore suggerì a Maiocchi di portarsi appresso anche il bassista dei Crusaders, un tale di nome Arvid “Wegg” Andersen, oriundo danese, pronipote del celebre scrittore di fiabe nonché ex- bassista dei Three Musketeers assieme, appunto a Blackmore. Per completare la formazione occorreva un chitarrista ritmico e venne trovato nella persona di Billy Gray, proveniente dagli scozzesi Anteeeks, un gruppo beat/mod titolare di un solo bellissimo 45 giri ma che al momento aveva appena inciso un singolo con i Buzz di David Bowie. Con questa formazione, battezzata The Trip, sull’onda di sensazioni psichedeliche in voga ai tempi (una geniale intuizione di Riki), il gruppo sbarcò in Italia alla fine di settembre del 1966 e venne presentato alla stampa specializzata di allora (le riviste Ciao Big e Giovani) col nome di Riki Maiocchi e i Trips; in una scherzosa intervista in cui il cantante milanese introdusse i quattro musicisti coi seguenti soprannomi:

Ritchie Blackmore detto “Tom Brown”, Billy Gray detto “Gilles”, Arvid Andersen detto, “Silas Wegg” e Ian Broad detto “The Ram”.

Dopo un giro di concerti di qualche settimana a Milano e Torino, dei quali purtroppo non è rimastra traccia incisa, Riki abbandonò il gruppo per concentrarsi sulla sua carriera solista in vista della partecipazione a San Remo nel febbraio venturo e i Trip decisero di restare in Italia e sfruttare l’enorme potenziale e l’occasione prestatagli; Broad oltre che suonare la batteria divenne il cantante e Gray gli faceva i cori; il loro repertorio si basava su standard di rhythmn and blues e pezzi noti del periodo, ma dopo soli due mesi di permanenza nel nostro paese, Blackmore ritornò in fretta in Inghilterra, non del tutto convinto della musica che stava suonando e in cerca di nuovi stimoli, (i pettegoli dicono che dovette fuggire perché aveva messo incinta una ragazza che poi non voleva assolutamente sposare - verità o leggenda?) Il resto è storia, da dicembre 66 all’aprile dell’anno successivo suonò con Lord Sutch & The Roman Empire, in una bizzarra formazione dove tutti vestivano da gladiatori, poi si spostò in Germania dove incontrò John Lord in oscure formazioni quali Rounbabout e Mandrake Roots; e infine fondò i Deep Purple. A proposito di loro, Blackmore telefonò in Italia ad Andersen chiedendogli di entrare a far parte del suo nuovo gruppo, ma quest’ultimo declinò perché i Trip stavano per firmare un contratto discografico e i Deep Purple trovarono un bassista nella persona di Nicky Simper.

Intanto nel nostro paese i Trip, ridotti a trio ebbero l’occasione di esibirsi al Crazy Club di Torino, ma il gestore del locale voleva un gruppo di quattro persone e finì per “imporre” loro un giovane tastierista di Savona di nome Joe Vescovi, precedentemente col gruppo beat dei Lonely Boys. Vescovi parlava l’inglese per cui non ebbe difficoltà ad inserirsi e pur essendo il più giovane prese in mano le redini della formazione, che nel corso del 1967 spostò il suono del gruppo verso un repertorio influenzato da nuove formazioni quali Nice e Vanilla Fudge, grazie soprattutto all’uso dell’hammond.

Nel mese di settembre, dopo un litigio Ian Broad venne cacciato dal gruppo perché aveva il vizio di bere troppo a durante le serate cantava frasi senza senso al microfono ed era sempre ubriaco; tornò in patria e riapparve tempo dopo come roadie dei Deep Purple; e successivamente, nel 1970 a fianco di Demetrio Stratos, in una formazione di R&B che durò lo spazio di una stagione, prima che il grande cantante formasse gli Area.

Al suo posto alla batteria fu chiamato il torinese Pino Sinnone, ex membro delle Teste Dure e al momento batterista dei Rogers di Vercelli; poi nel 1968 si unì a loro per un breve periodo l’ex cantante dei Dave Anthony’s Moods, Roger Peacock, fino a quando, ridotti nuovamente a quartetto, i Trip incisero per la BMG nel 1969 un pezzo intitolato “Bolero Blues”, incluso nella raccolta “Piper 2000” e successivamente chiusero il decennio realizzando il singolo “Una Pietra Colorata / Incubi per la RCA e partecipando al bizzarro e psichedelico film “Terzo Canale”, assieme a Mal, i New Trolls, the Primitives, The Four Kent e …..i Ricchi e Poveri!!! Dalla colonna sonora della pellicola venne anche estratto un 45 giri: “Travellin’ Soul / Fantasia” sempre per la RCA e in seguito venne dato alle stampe il loro primo LP “The Trip”. Dopo essere apparsi al primo festival pop italiano alle Terme Di Caracalla; il gruppo proseguì la sua carriera negli anni settanta con un repertorio più “progressive”.

Nota a margine – recentemente si è avuta la notizia che un chitarrista di nome Luciano Gandolfi avrebbe sostituito il dimissionario Ritchie Blackmore; ma alcune mie ricerche su Gandolfi hanno avuto esito negativo e non sono riuscito a trovare nessun accenno sulla sua permanenza nei Trip di questo personaggio; è possibile che abbia effettivamente sostituito per un breve periodo Blackmore ma se fosse così sarebbe stato tra la fine del 1966 e la primavera seguente, anno dell’arrivo di Joe Vescovi; il quale afferma che quando raggiunse il gruppo era già un trio.

mercoledì 29 luglio 2009

IL BEAT IN ESTONIA

Pochi sanno che negli anni sessanta quasi tutto il mondo venne investito dal ciclone del Beat e anche la piccola Estonia (ai tempi ancora annessa all’Unione Sovietica), non fece eccezione. Nonostante la diffidenza del regime verso il rock’n’roll, anche li proliferarono decine di gruppi: eccone alcuni che fanno luce sul misterioso mondo del beat estone.

Il più famoso gruppo, e anche uno dei primi è quello degli OPTIMISTID (The Optimist) formati a Tallin dal chitarrista Toomas Kōrvits e dal batterista Henry Kirspuu assieme al tastierista/bassista Vello Salumets, al chitarrista Neeme Ninnas e al bassista Heigo Mirka. Furono senza dubbio la prima formazione di successo in Estonia, e la loro canzone “Mul On Tunne” (cover di “You Wont Be Leaving” degli Herman’s Hermits) fece centro nei cuori delle giovani generazioni; ma essi sono ricordati anche per una bella versione in lingua estone del pezzo degli Who’s “La-La-La-Lies”, reintitolata "La-La-La-Laul". Gli Optimistid, erano anche bravi nell’eseguire covers di Bob Dylan, dei Troggs e dei Rolling Stones, alla fine del 1965, Pete Anderson (vero nome Peteris Anderson), cantante chitarrista e leader del gruppo lituano dei Melody Makers, si aggiunse alla formazione per un breve periodo; mentre nel 1966, durante un’apparizione alla TV la band fece scandalo vestendo le famigerate uniformi delle SS!

Qualche mese dopo, nel 1967 il batterista fu sostituito e Toomas Kōrvits invitò suo fratello Harri ad unirsi al gruppo che alla fine si sciolse nel 1969.

I VIRMALISED (the Northern Lights – il tipico fenomeno di aurora visibile solo nel Circolo Polare Artico) sono ancor oggi considerati come un valido esempio di risposta ai Kinks o ai Beatles, depositari di una miscela di suono forte e melodico al tempo stesso; erano formati dal cantante e chitarrista Toivo Kurmet, (scomparso nel 2003), dal cantante russo Toivo Karetnikov, dal bassista Kalju Oppi, dal chitarrista solista Paavo Soots e dal batterista Ülo Kurmet. Furono tra i fortunati ad esibirsi al primo Festival Beat Estone, che si svolse al Cinema Kosmos di Tallin il 28 aprile del 1968, che passò alla storia “la prima apparizione pubblica di gruppi chitarristici” mai svoltosi in Unione Sovietica. Il festival fu organizzato dall’istituzione di stato “Biitklubi” (Beat Club) e fu possibile grazie anche all’intervento del presidente del Cinema Governativo, Paul Daniel e da un tale di nome Fred Raudberg. La sala del cinema era stracolma e le strade intorno, talmente intasate che i tram non riuscivano a passare; hippies della Lituania e di Leningrado, coi loro abiti coloratissimi erano arrivati fin li per non perdersi l’evento…e dentro al locale, le più bizzarre e pazze band del periodo dell’Unione Sovietica si stavano esibendo. Il concerto si concluse con l’esibizione dei Virmalised, con due versioni di "Friday On My Mind" degli Easybeats e "I Can' t Let Go" degli Hollies, il pubblico regì in maniera violenta per la fine del set e i Virmalised dovettero suonare due pezzi in più di loro composizione anche se cantati in inglese: "You Where On My Mind Girl di Toivo Kurmet " e "Walking On The Beach". L’atmosfera che si respirava era quella della ribellione giovanile e il governo centrale cercò di proibire questo genere di concerti al cinema Kosmos, ma intanto la storia del rock estone era iniziata. I Virmalised sopravvissero con alcuni cambi di formazione fino alla fine degli anni ottanta. Altro storico gruppo di Tallin era quello dei MIKRONID (The Microns) costituiti nel 1965 dal bassista Peeter Këari e che comprendevano anche il chitarrista Toivo Tamm, i cantanti Heiki Joahnnson e Ener Vaks, il chitarrista solista Tiit Kōrvits e Harri Kōrvits, dei Juuniorid, alla batteria; più tardi, nel 1967 ci fu un cambio di formazione: Vaks lasciò il gruppo, Kōrvits si ricongiunse al fratello Toomas negli Optimistid e fu sostituito dietro ai tamburi da Gunnar Graps proveniente dai Satelliidid (The Satellites), e Tonu Toom (armonica e tamburello) fu aggiunto; incisero un demo nel 1967 con la cover del classico degli Herman Hermit’s “No Milk Today”, seguito da una splendida versione di “Taxman” dei Beatles; ma vengono per lo più ricordati per lo strumentale "Wipe Out" dei Surfaris, e per una cruda "I'm a King Bee" che contiene un assolo selvaggio e primitivo che ricorda il lavoro di Lou Reed nei Velvet Underground. Dopo lo scioglimento del gruppo Gunnar Graps formò nel 1973 la band di hard rock Ornament, e nel 1976 la Magnetic Band, un gruppo di jazz progressivo molto noto in Unione Sovietica; Graps, considerato uno dei migliori batteristi in Estonia e in tutta la Russia, purtroppo è scomparso nel maggio del 2004.

Chiudo questa rassegna con l’unica formazione di Tallin I cui componenti erano tutti di etnia russa: i POISSMEHED (The Bachelors), guidati dal tastierista Vladimir Krieger e dal cantante Oleg Melnik, che eseguivano un robusto set di covers in inglese e in russo, e si esibivano con delle uniformi napoleoniche affittate; di loro si ricorda una curiosa versione di "Cuore Matto" di Little Tony eseguita al Festival Beat di Tallin nel 68 e cantata in italiano!!!.

Recentemente il tastierista Krieger (curiosamente porta lo stesso cognome del chitarrista dei Doors) ha dichiarato che non era affatto contento dell’esibizione al festival perché suonarono senza possibilità di sentirsi sul palco e quindi erano tutti nervosi; fortunatamente il pubblico dimostrò di gradire e la stampa non menzionò affatto questo piccolo inconveniente.


giovedì 23 luglio 2009

The monkees live 1967



THE MONKEES LIVE 1967

I Monkees sono generalmente considerati (a torto), come un gruppo bubblegum prefabbricato a tavolino e buono solo per teenagers; ma questo è vero solo in parte. La storia ci dice che il quartetto, formato da Mike Nesmith, chitarrista e cantante; Micky Dolenz, batterista e cantante; Peter Tork, organista, bassista e cantante e Davy Jones, cantante e percussionista fu assemblato da un team di discografici e produttori televisivi tramite una selezione di oltre trecento candidati; e che a loro fu chiesto di interpretare un fittizio gruppo musicale per un serial TV sulla falsariga del film dei Beatles "A Hard Day's Night". Fin dall'inizio ci fu chi componeva dei pezzi di successo e nei dischi incisi essi prestavano solo le voci, ma erano dei session-man ad incidere la musica; scoppiò uno scandalo, si diceva che i Monkees erano un bluff e che non erano capaci di suonare; il gruppo si ribellò, licenziò il direttore artistico ed ottenne di registrare un disco interamente composto, prodotto e suonato da loro; il superbo "Headquarter", uscito nella primavera del 1967. Mancava però una prova tangibile della loro perizia come musicisti e quindi i ragazzi partirono per un tour intorno al mondo per smentire le malelingue e capitalizzare il successo dei dischi. Questo CD, ristampato dalla Rhino e registrato nell'agosto del '67 tra Seattle, Portland e Spokane, dimostra alcune cose: la prima è che i quattro erano comunque dei musicisti preparati, primo fra tutti Peter Tork, pianista competente ed eccellente banjoista dal passato come folksinger nel circuito folk Newyorkese a fianco di Stephen Stills; Nesmith invece era un ottimo compositore in ambito country ed un valente chitarrista; quanto agli altri due, Micky Dolenz, ex bimbo prodigio come attore e chitarrista in un gruppo garage, aveva una bella voce particolare e si dovette improvvisare, per necessità batterista, e grazie a qualche lezione aveva dimostrato di cavarsela più che dignitosamente. Jones, infine oltre a saper cantare bene era un ottimo ballerino e dal vivo accompagnava la band con tamburello, maracas e sedendosi dietro ai tamburi di tanto in tanto. Il suono dei Monkes on stage è trasformato: scarno, grezzo, duro, a tratti forse un po' caotico, spogliato da tutti gli orpelli dei dischi in studio e suona quasi come una garage band; ma proprio per questo risulta affascinante e dà una nuova immagine del quartetto che rivisita i propri successi come "Mary, Mary" o "Last Train To Clarcksville", con stile e padronanza, con qualche scherzoso intermezzo col pubblico e alcune "finte". Nesmith accenna a "Purple Haze" memore del fatto che fossero in tournèe con Jimi Hendrix; e senz'altro la vicinanza col grande chitarrista deve averli influenzati parecchio, visto che un pezzo come "Steppin' Stone" viene stravolto totalmente, dilatato e reso psichedelico con un bell'assolo di chitarra acida e sognante. In sostanza un bel disco, piacevole da ascoltare che rivaluta un po' questo gruppo troppe volte ingiustamente sottovalutato.

THE MONKS

...E a proposito di garage ecco qui i leggendari MONKS cinque ex militari americani di base in Germania che dopo la ferma decidono di rimanere in Europa e di dedicarsi al rock'n'roll . Nel 1963 danno vita ai Five Torquays, ma è solo dopo il 1965 che vengono notati dal produttore Jimmy Bowien e vengono convinti a cambiare aspetto e nome: dopo aver indossato tutti un saio nero ed essersi fatti la "chierica"...ecco nati i Monks, grande gruppo garage in anticipo sui tempi, caratterizzato da un suono rude e selvaggio, ripetitivo e violento, reso potente dal Farfisa ipnotico di Larry Clark, dal basso, spesso usato col fuzz, suonato da Eddie Shaw e dal banjo elettrico (strumento inusuale nel beat) utilizzato in maniera percussiva dal cantante Dave Day. Gli altri due elementi, il chitarrista solista Gary Burger e il batterista Roger Johnston, non erano da meno; il primo condiva il suo suono con feedback e distorsioni, lasciando spesso a terra lo strumento e permettendo agli altri del gruppo di aggiungersi per creare un muro di suono, mentre il secondo percuoteva lo strumento in maniera tribale, ossessiva! Un grande gruppo da seguire.